Tag

, , , , , , , , , , , , , , ,

Ancora oggi giornalisti, politici e molti economisti, parlando di sviluppo, pongono al centro delle loro analisi fattori macro e microeconomici che concorrono a incrementare il PIL. Fattori di crescita o, come ora va di moda dire, di crescita sostenibile o crescita economica sociale. Fattori che vanno dalla produttività delle aziende multinazionali sul territorio, dalla mobilità del turismo domenicale, dalla propensione al risparmio delle famiglie, alla concentrazione bancaria in pochi gruppi dominanti e alla grande distribuzione capillare.  I modelli di crescita sono in altre parole riconnessi a fenomeni di allocazione delle risorse economiche e fondati sull’assunto che tale virtuosa allocazione possa, anzi debba, generare alti livelli di benessere. Sono questi i fattori che hanno radicato nelle nostre collettività il pensiero sviluppista del paradigma economico-sociale ante crisi.

Le riflessioni fattesi a vari livelli sul tentativo di identificare differenti indicatori per misurare il benessere e conseguentemente le vie per raggiungerlo, sono divenute più frequenti con l’inizio della attuale crisi. Per una sintesi degli sviluppi di questa consapevolezza, si può leggere l’Indagine conoscitiva sull’individuazione di indicatori di misurazione del benessere ulteriori al PIL – Audizione dell’allora Presidente dell’ISTAT, Enrico Giovannini (ora Ministro del lavoro), Commissione V Bilancio, Tesoro, Programmazione, Roma, 18 dicembre 2012 (vedi resoconto audizione e Rapporto BES 2013 alle pagine http://www.misuredelbenessere.it/index.php?id=38 e http://www.istat.it/it/archivio/84348).

Sin dal 2007 prendeva avvio presso l’OECD il Global Project on measuring the project of Societies.  Agli inizi del 2008, come noto, il Presidente della Repubblica Francese Nicholas Sarkozy ha commissionato ad un gruppo di autorevoli economisti uno studio per trovare indicatori economici alternativi al PIL, in grado di poter misurare il progresso economico e sociale. Il conseguente Report by the commission on the measurement of economic performance on social progress, curato da Jean Paul Fitoussi, Amartya Sen e Joseph E. Stiglitz, nel settembre 2009, ha certamente dimostrato la inadeguatezza degli attuali indicatori economici a leggere la futura evoluzione (e soprattutto le ineguaglianze che si sono venute a creare), ma ha altresì messo in luce le difficoltà a trovare altri indicatori riconosciuti universalmente e che si spingono a considerare le valutazioni soggettive dei cittadini e indici di sostenibilità. La Commissione ha raccomandato nello specifico di considerare otto dimensioni: benessere materiale, salute, istruzioni, attività personale e lavoro, partecipazione politica e governance, relazioni sociali, ambiente, sicurezza economica e fisica.

Si è fatta così strada una corrente di pensiero (P. Dasgupta, J. Arrow, L.H. Goulder, K.J. Mumford, K. Oleson- Vedi da ultimo il loro paper Sustainibility an measurement of Wealth, Washington, giugno 2011) indirizzata alla ricerca non tanto di indicatori di benessere tout court, ma di ambiti e dimensioni del benessere, cioè il capitale umano, il capitale naturale, la salute e il capitale riproducibile. Seguendo questo filone di pensiero, è evidente come la responsabilità dello sviluppo pesi non solo per il benessere attuale ma anche e soprattutto per quello delle generazioni future.

Partendo dunque dal capitale umano, dobbiamo dare priorità assoluta alla popolazione giovane, che ha al suo attivo una aspettativa di vita, anche lavorativa, maggiore delle altre fasce di età. Per fare questo naturalmente si dovranno considerare non solo gli indicatori quantitativi del capitale umano, ma anche quelli qualitativi del capitale sociale e i processi di decrescita (Putnam, 2010, Latouche S., Le pari de la dècroissance, Fayard, 2006). Dunque gli indicatori relativi per esempio alle forme di associazionismo e di aggregazione saranno da monitorare, così come le infrastrutture ICT nell’area e le Reti di impresa e indicatori che meglio mettano a fuoco le inattività e le forze di lavoro potenziali.

Passando al capitale naturale, la ricchezza del nostro Paese non è messa in discussione, così come è evidente la sostanziale inerzia dei decisori politici regionale e locali su questo versante. Ma anche su questo fronte, benché la strada sia lunga, il cammino da percorrere potrebbe essere promettente e partire da una maggiore consapevolezza dei cittadini sul valore di questo asset. Non solo quindi opere infrastrutturali di conservazione e valorizzazione, ma semplici gesti quotidiani come la raccolta differenziata, l’utilizzo responsabile dell’energia e il rispetto dell’ambiente potrebbero presto ri-generare sviluppo nell’area possono contribuire ad aumentare il capitale naturale.

Sul tema della salute, in occasione del World Economic Forum del 2013 è stato presentato il rapporto sui sistemi e le strategie per uno sviluppo sostenibile del settore sanitario (WEF, Sustainable Health Systems – Visions, strategies, Critical Uncertainties and Scenarios), il quale ha posto l’attenzione proprio sulla necessità di assicurare servizi sanitari innovativi e di contenere la futura domanda di servizi sanitari mediante strategie di prevenzione, tutela ambientale e infrastrutture. In tale sede è stato anche ribadito come le azioni poste in essere nel breve e determinate dall’attuale congiuntura negativa non debbano in alcun modo depauperare il capitale della salute nel medio lungo periodo.

Venendo infine al capitale riproducibile, prodotto prevalentemente dal settore manifatturiero e dal settore agricolo, la maggiore attenzione va posta sui cosiddetti costi nascosti (shadow prices), necessari per ricostruire gli altri capitali (in particolare quello naturale, ma il discorso vale anche per la salute), che per loro natura (non solo economicamente parlando) sono scarsi.

Quando parliamo di crescita e sviluppo cerchiamo allora di intenderci bene a quale capitale stiamo facendo riferimento. Ciascuno è naturalmente libero di sostenere l’una o l’altra accezione e le azioni atte ad aumentarlo, ma una cosa credo sia evidente: mentre le risorse economiche che concorrono a creare il Capitale monetario tendono non solo ad allocarsi ma anche a concentrarsi nelle mani di pochi, il capitale naturale, quello umano (nella sua accezione sociale) e quello della salute sono per definizione DI TUTTI.