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Secondo una recente ricerca Ipsos-Corriere della Sera, soltanto il 12% degli Italiani dichiara di conoscere in modo approfondito il Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), il 44% lo conosce solo in parte, il 28% ne ha solo sentito parlare e il 16% ignora del tutto di cosa si tratti. Alla scarsa conoscenza, si affiancherebbe una notevole disillusione degli Italiani rispetto al PNRR: il 49% degli intervistati, infatti, ha poca o nessuna fiducia nel fatto che il Piano e le risorse che lo finanzieranno saranno efficaci nei prossimi anni a risolvere i problemi strutturali dell’Italia e a darle un rilancio economico. Una situazione simile merita una riflessione critica sulle modalità con le quali il PNRR viene raccontato e discusso nell’agorà pubblica. Di seguito si suggerisce una strategia in quattro punti per avviare tale riflessione.

PNRR, (almeno) due leggende da sfatare

Nel fervore del dibattito politico, è ancora possibile ascoltare prese di posizione che meritano perlomeno una messa a punto, in modo da non creare ulteriore confusione tra i cittadini e non alimentare polemiche faziose.

  1. Come quando si sostiene che l’ex Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, meriterebbe un encomio speciale per il fatto di aver ottenuto per l’Italia, grazie al PNRR, più soldi di tutti gli altri Paesi europei. Sarà bene ricordare, invece, che i finanziamenti ottenuti sono stati assegnati per il 70% sulla base di indicatori come la numerosità della popolazione nazionale, il Pil pro capite e il tasso di disoccupazione, cioè gli stessi indicatori utilizzati da decenni per la distribuzione delle risorse della Politica di coesione europea. Si è deciso inoltre che un altro 30% dei finanziamenti per il PNRR dovesse essere assegnato in funzione di quanto fosse variato il Pil nel 2020 rispetto al periodo pre-pandemia. In estrema sintesi, non esistono “vincitori” o “vinti”: l’Italia, unitamente alla Spagna, è stata destinataria di maggiori risorse a fondo perduto perché ha sofferto più di altri Paesi simili l’impatto della pandemia. L’Italia ha deciso inoltre di ricorrere anche a tutta la quota disponibile come prestito, la Spagna e molti altri Paesi inizialmente no. Celebrare un simile risultato equivarrebbe a festeggiare la situazione in cui fossimo costretti, per ragioni di salute, ad assumere tante medicine.
  2. Nei mesi recenti, anche da parte di esponenti della maggioranza di Governo, è stato detto che l’Italia avrebbe a disposizione, oltre ai fondi assegnati nell’ambito del PNRR, anche le risorse della vecchia programmazione europea. In realtà, al 31 dicembre 2022, il nostro Paese ha già impegnato il 97% delle risorse assegnate da Bruxelles con la vecchia programmazione (2014-2020). Non abbiamo speso questi soldi, è vero, e questo è un problema che merita di essere trattato con urgenza, ma avendoli impegnati quegli stessi soldi non possiamo pensare di utilizzarli per altri scopi, foss’anche per rafforzare la portata del PNRR.

PNRR, perché è importante guardarsi attorno

Guardare al di là dei confini italiani consentirebbe, a volte, di assumere una prospettiva più realistica delle sfide che abbiamo di fronte. Il PNRR, nel caso italiano, è pari al il 10,79% del Pil nazionale annuo, a fronte dell’1,57% del Pil della Francia e dello 0,54% del Pil della Germania. È dunque evidente che la capacità del PNRR di incidere sulla nostra economia è potenzialmente straordinaria, un’occasione assolutamente da non mancare.

Sempre osservando i nostri vicini europei, scopriremmo pure che un Paese come l’Ungheria, con un Piano nazionale di ripresa e resilienza di circa 28 miliardi di euro, non è ancora nemmeno partita, per il mancato raggiungimento (per ora) di una “super milestone” per il proprio ordinamento democratico come la piena autonomia della magistratura.

La Germania, invece, ha ottenuto una rimodulazione del proprio PNRR per sostituire un grande investimento con un altro giudicato più opportuno, oltre ad aver richiesto il sensibile ridimensionamento di un secondo investimento. Due piccoli esempi che consentono di capire, come peraltro chiarito dalla stessa Commissione europea, che nel rinvio di qualche settimana dell’esborso della terza rata di contributo all’Italia non c’è nulla di straordinario.

PNRR, con lo sguardo nell’immediato futuro

Quali sono le sfide che, come Paese, ci aspettano nell’immediato futuro? Dovremo senz’altro presentare una rimodulazione del PNRR che tenga conto di nuovi obiettivi e ulteriori fondi stabiliti a livello di Unione europea attraverso il nuovo piano “REPower EU” per sostenere l’autonomia energetica e la transizione ecologica del continente. Dovremo farlo entro la fine di agosto, consapevoli di avere a disposizione poco più di 2,7 miliardi di euro aggiuntivi e non chissà quali altri fondi (invero altri 2,1 miliardi di Fondi strutturali già attribuiti all’Italia potranno essere trasferiti al PNRR), e avendo a riferimento i sei pilastri del Dispositivo di ripresa e resilienza (che non coincidono con le sei missioni dell’attuale nostro PNRR).

Detto ciò, è opportuno analizzare il nostro Piano investimento per investimento, privilegiando i progetti su cui possiamo arrivare fino in fondo, puntando non solo a spendere tutte le risorse a disposizione, ma a raggiungere tutti i target che ci siamo prefissati. Per questo tipo di “analisi”, potrebbe giovare un clima di fattiva collaborazione tra maggioranza e opposizione, in modo tra l’altro da non ingenerare ulteriore confusione nell’opinione pubblica con messaggi contrastanti e difficilmente verificabili nell’immediato da ciascun cittadino.

PNRR, come potrà cambiare l’Italia?

Per finanziare il PNRR italiano, approvato dalla decisione del Consiglio UE del 13 luglio 2021, sono state messe a disposizione dall’Unione Europea risorse pari a 191,5 miliardi di euro, composti da 68,9 miliardi finanziati da sovvenzioni a fondo perduto (grants) e 122,6 miliardi finanziati tramite prestiti (loans). La capacità di rimborsare queste risorse si fonda, nel progetto originario, sulla crescita aggiuntiva del Pil generata dall’attuazione del Piano stesso, senza dover necessariamente, in futuro, “stringere la cinghia” dei conti pubblici. È indubbio che l’aspettativa di utilizzare tale mole di finanziamenti, così come i primi progetti, già stiano sostenendo la nostra crescita nazionale, non a caso – per la prima volta dopo oltre un quindicennio – un po’ superiore rispetto alla media degli altri Paesi europei.

Inoltre, il PNRR è un’occasione per introdurre una cultura nuova nel modo in cui approcciamo le politiche pubbliche nel nostro Paese. Per usare espressioni da addetti ai lavori, potremo passare dal metodo del “forecast” a quello del “foresight”, cioè dal mero “prevedere” al più opportuno “provvedere”. Non si tratta più di scrivere un progetto e prevederne l’impatto “sulla carta”, ma di provvedere ai bisogni delle future generazioni, per esempio attraverso una transizione ecologica di successo, senza ideologismi ma rendendo chiari ai cittadini quali siano i costi e i sacrifici da affrontare, perché non ci sarà sostenibilità ambientale domani senza sostenibilità sociale e finanziaria oggi. Solo con un simile approccio potremo spendere efficacemente e responsabilmente le risorse del PNRR, e dunque cambiare – in meglio – l’Italia.

(mio contributo: Policy Brief n. 6/2023 Luiss School of Government, pubblicato il 17 aprile 2023, dal titolo “PNRR, abbiamo un problema (di narrazione)! Idee per correggere la rotta”)