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ISTAT stima oggi che l’insieme delle politiche sulle famiglie abbia ridotto nel 2022 la diseguaglianza (misurata dall’indice GINI che, per semplificare, considera 100 la massima disuguaglianza tra la fascia di popolazione più povera e quella più ricca e 0 l’assenza di diseguaglianza tra le due fasce) da 30,4 (dato 2021) a 29,6 (stima dato 2022).

Se si va a esaminare la stessa indagine curata dall’Istat del 2020, per fare un raffronto tra l’impatto delle politiche del governo Conte II e quelle di Draghi, emerge un dato interessante. Considerando la disuguaglianza prima che lo Stato intervenga con le sue politiche a sostegno delle famiglie, nel 2020 l’indice era di 44,3 punti, adesso il dato che l’Istat rilascia è di 46,4 punti. Ciò significa che prima degli interventi pubblici le disuguaglianze nel 2020 erano minori (cioè l’indice GINI era più basso). Cosa significa? Che il punto di partenza del Governo Conte era meno critico, perchè, paradossalmente, la pandemia ha colpito in maniera trasversale tutte le fasce della popolazione.

Vediamo ora il miglioramento dell’indice di Gini dopo gli interventi del Governo Conte per confrontarlo con quello registrato oggi per il Governo Draghi. Nel 2020 con il Governo Conte l’indice di disuguaglianza scendeva, grazie alle politiche di sostegno a 30,2 con un riduzione di 14 punti sul dato di partenza. Il Governo Draghi ha portato, come sopra ricordato, l’indice di disuguaglianza a 29,6 con una riduzione quindi di 17 punti. Tre punti in più rispetto al suo predecessore.

In sostanza la politica di Conte ha ridotto le disuguaglianze, ma in maniera meno significativa rispetto alle politiche di Draghi. Perché è successo questo? Considerando che Conte aveva più margini di manovra – il rapporto deficit/Pil nel 2020 era leggermente migliore di quello odierno-, la ragione va rintracciata nel fatto che sono state messe in campo due politiche diverse: Conte ha ridotto in maniera assai più significativa la povertà assoluta che è passata in quell’anno dal 29,8 al 18,7 (Draghi è passato da 18,6 a 16,8%). Invece la politica di Draghi ha mirato a ridurre nel suo complesso le disuguaglianze e da qui il miglioramento del risultato complessivo.

Ovviamente si tratta di politiche messe in campo in momenti molto diversi, la prima nella fase di shock della pandemia, la seconda in un’ottica di ripresa, ma rispecchiamo due visioni diverse. La prima si è prevalentemente concentrata sulla fascia più incapiente (il reddito di cittadinanza ha rappresentato il principale strumento), la seconda ha cercato di ridurre le diseguaglianze nel loro complesso e dunque ha allargato il perimetro anche al ceto medio-basso.

L’elettorato ha sostanzialmente premiato questo secondo approccio e non sorprende dunque che la prima manovra targata Giorgia Meloni vada in questa direzione